domenica 6 marzo 2011

Saviano da Fazio: "Io in politica? La rivoluzione è fare il proprio mestiere"

La coppia di "Vieniviaconme" si riforma a "Che tempo che fa". "C'è il desiderio di fare un'altra edizione del programma". Lo scrittore parla del nuovo libro, della rottura con Marina Berlusconi e Mondadori, dell'attualità. "Il caso Ruby? Emerge la solitudine di un anziano..."


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ROMA - Questa sera a Che tempo che fa, su Rai Tre, si ricompone la coppia Fazio-Saviano, dopo gli ascolti record 1 di Vieniviaconme. Una puntata monografica, ospite lo scrittore, che vede tornare insieme i due protagonisti di uno dei programmi più apprezzati dal pubblico in questa stagione televisiva, nonostante le difficoltà incontrate, a novembre, prima e durante la messa in onda della trasmissione, fra censure preventive e tentativi della direzione generale Rai di stravolgere le scalette 2 imperniate sui monologhi dell'autore di Gomorra. E con l'ospitata obbligatoria concessa al ministro dell'Interno Roberto Maroni 3 per replicare al raccojnto-denuncia di Saviano sulla "'ndrangheta che al Nord interloquisce con la Lega 4". A Che tempo che fa, Fazio e Saviano colgono l'occasione per un annuncio. "Abbiamo deciso che la rifacciamo, c'è la voglia di rifarla" dice il conduttore passando in rassegna, assieme all'amico, una sorta di 'elenco degli elenchi'
di argomenti di attualità da affrontare nel futuro programma.

Ruby e la solitudine del "nonno". A Che tempo che fa, Saviano torna sul caso Ruby e i suoi riflessi sulla società italiana. Quelle carte, secondo Saviano, sono carte "di solitudine", dove emerge la figura di "un nonno che si trova in una situazione del genere". Laddove il "nonno" è Silvio Berlusconi. "Quando le ho lette - dice lo scrittore - non mi è venuto un senso di nausea ma, se tutto fosse confermato e verificato, un sentimento quasi di tristezza, di solitudine di un nonno che si trova in una situazione del genere. A questo si risponde con la felicità. Dov'è il puritanesimo e il moralismo in tutto questo? Anzi c'è una voglia di dire che il Paese è altro, il Paese sorride, vuole vivere, il Paese è tutt'altro che una sessualità che arriva allo scambio, all'estorsione, al racket".

Secondo lo scrittore, l'inchiesta milanese "mostra la selezione della classe dirigente e mostra come viene selezionata la classe artistica, se si può parlare di una classe artistica". Di fronte a questo la manifestazione che ha portato migliaia di donne nella piazze italiane non è stata espressione di puritanesimo ma la voglia di dire "che questa declinazione del potere non ci appartiene". E per chi considera l'inchiesta un'irruzione nella vita privata di Berlusconi, Saviano sottolinea: un conto è il privato, che è sacro e va difeso, un conto è un reato. "Una cosa, complessa e gravissima, che sta mettendo a rischio la democrazia, la comunicazione, la libertà di parola, è quella di comparare il privato al reato, quella di dire che si tratta di una vicenda tutta privata. Dire, terrorizzando le persone, che se si guarda al privato ce n'è per tutti. Ma il privato rimane una cosa sacra, il reato è un'altra cosa. La debolezza è una cosa, l'estorsione un'altra".

Torna la macchina del fango. A questo punto, Saviano torna sulla "macchina del fango 5", oggetto di uno dei suoi monologhi a Vieniviaconme ma anche di successivi interventi pubblici. "Colpisce chi lotta contro certi poteri e i governi. La delegittimazione non si è fermata. Anzi oggi il motto di certi giornali dell'area che protegge il governo è portare avanti un'equazione: 'tanto voi non siete meglio'. E' lì che parte la macchina del fango che pesca qualche elemento nella tua vita privata". Eppure "la macchina del fango - conclude lo scrittore - produce narconotizie e può essere fermata solo dalle persone. Che devono capire che una cosa è un'inchiesta che prende più elementi e li analizza, mentre la delegittimazione prende un solo elemento e lo utilizza contro il suo bersaglio".

Da Marina Berlusconi "paura politica". Dalla macchina del fango agli attacchi di Marina Berlusconi. "Forse per una paura politica" commenta Saviano, che raccontando il suo passaggio come autore da Mondadori a Feltrinelli, con cui ha appena pubblicato i monologhi 6 di Vieniviaconme, definisce gli editor della casa di Segrate "persone di grande qualità e libere, e - aggiunge - sento la loro difficoltà". Lo scrittore ricorda di essere stato attaccato da Marina Berlusconi in due occasioni: la prima quando la figlia del premier difese il padre, secondo il quale LIbri e film come Gomorra e La Piovra fanno male al Paese. La seconda, più recente, quando Saviano ha dedicato la laurea honoris causa, ricevuta a Genova, ai pm che conducono l'inchiesta sul caso Ruby / VIDEO 7

"Avverto una contraddizione, che vivo in modo pesante - dice Saviano - non ci si può professare editore libero e poi, quando qualcosa non va, darmi addosso. Una cosa che non è stata fatta con altri autori che pure hanno espresso posizioni critiche nei confronti del governo. Forse la sua è stata una paura politica forse non ha avuto il coraggio di dire chiaramente che non sopportava più le mie parole".

"Politica? Rivoluzione è fare il proprio mestiere". Infine, Saviano allontana l'idea di un suo ingresso in politica, emersa in particolare nel febbraio scorso, dopo il l'intervento dallo scrittore 8 al PalaSharp di Milano. "Io in politica? Per me rimane vero quello che ho già detto: oggi fare bene il proprio mestiere è già rivoluzionario. Per salvare il proprio Paese basta fare bene il proprio mestiere".

fonte: Repubblica

Minzo-sprechi tra cene e auto di lusso Masi lo difende. E la procura non indaga

 L’ex sindaco di Bologna, Flavio Delbono ha patteggiato 19 mesi di reclusione per peculato e truffa: da vicepresidente della Regione Emilia Romagna aveva speso 20mila euro con la carta di credito dell'ufficio. Il direttore generale della Rai, Mauro Masi, invece non ha avuto nulla da eccepire nei confronti del direttore del Tg1. Eppure, in 14 mesi, Augusto Minzolini ha messo in conto all'azienda circa 86 mila euro per pranzi, cene e viaggi all’estero, da solo o in compagnia di un’amica, anche quando risultava in ferie o presente a Saxa Rubra: tutto a spese degli abbonati. E se la Corte dei conti del Lazio apre un’inchiesta sul 'direttorissimo' per danno erariale, non risultano iniziative dalla Procura di Roma. Eppure la Cassazione ha stabilito più volte che i dirigenti del servizio pubblico, se intascano indebitamente denaro della società, rispondono di peculato come i pubblici ufficiali. Lo dimostra la vicenda dell'avvocato A. P. Dipendente dell'ente pubblico Enea, aveva utilizzato per sé 96.405,53 euro. Licenziato dai suoi stessi datori di lavoro, il legale è stato denunciato alla giustizia contabile e penale. Condannato in entrambi i casi, dovrà risarcire l'intera cifra sottratta. E Minzo? Rimane saldamente al suo posto. E nessuno pensa di denunciarlo di Marco Travaglio



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Fonte: Il Fatto Quotidiano

mercoledì 13 ottobre 2010

ROMA (Reuters) - La Rai ha multato il conduttore di "Anno Zero", Michele Santoro, con 10 giorni di sospensione senza stipendio

ROMA (Reuters) - La Rai ha multato il conduttore di "Anno Zero", Michele Santoro, con 10 giorni di sospensione senza stipendio per un insulto rivolto al direttore generale dell'azienda Mauri Masi nella puntata di apertura, ma domani il programma andrà comunque in onda.
Lo ha riferito oggi l'ufficio stampa dell'azienda
"Santoro è sospeso da lunedì 18 ottobre. Domani 'Anno Zero' andrà regolarmente in onda", ha detto un responsabile dell'ufficio stampa. "Per le successive due puntate non so, la sospensione riguarda Santoro".
Ma il diretto interessato, avvezzo alle dispute con i vertici dell'azienda nominati dalla maggioranza di centrodestra, dà per scontato che la sua sospensione comporti la cancellazione di due puntate del suo programma e promette di reagire "con tutte le forze e in ogni sede".
La sanzione riguarda un insulto rivolto da Santoro a Masi il 23 settembre scorso perché i vertici Rai avrebbero ostacolato la sua trasmissione, non rinnovando tra l'altro, i contratti a due collaboratori, Marco Travaglio e il vignettista Vauro.
Spiegando le ragioni del provvedimento disciplinare, pur senza riferirne in contenuti, Masi scrive in una nota che "non può essere in alcun modo considerato riconducibile ad iniziative editoriali tendenti a limitare la libertà di espressione o il diritto di critica".
"Santoro si è reso responsabile di due violazioni disciplinari ben precise: l'uso del mezzo televisivo a fini personali e un attacco diretto e gratuitamente offensivo al direttore generale", aggiunge Masi.
GARIMBERTI: PROVVEDIMENTO "MANIFESTAMENTE SPROPORZIONATO"
'Anno Zero' fa alti ascolti per un talk show politico e di conseguenza conta su una buona raccolta pubblicitaria, ma è mal sopportato dal premier Silvio Berlusconi che lo ha più volte accusato di essere schierato contro di lui.
"Il provvedimento disciplinare assunto nei miei confronti, con una procedura ad personam, è di una gravità inaudita e, contro di esso, reagirò con tutte le mie forze in ogni sede", ha scritto Santoro in una lettera di replica.
"Ritengo, tuttavia il Consiglio (di amministrazione), anche senza entrare nel merito di questa 'punizione esemplare', debba pronunciarsi sulla decisione assunta dal direttore generale di metterla in atto cancellando due puntate di Annozero".
"Una punizione nei miei confronti si trasforma così in una punizione per il pubblico, per la redazione, per gli inserzionisti, per la Rai", ha aggiunto
Il cda della Rai -- dove la maggioranza dei consiglieri è di centrodestra -- affronterà la questione nella riunione prevista questa mattina, ma il presidente della Rai, Paolo Garimberti ha già definito eccessiva la punizione.
E' "un provvedimento di esclusiva responsabilità del direttore generale, che ho appreso come gli altri dalle agenzie. E' quasi superfluo dire che non lo condivido perché, al di là di altre considerazioni, lo trovo manifestamente sproporzionato", ha detto in un comunicato.
-- Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia

domenica 10 ottobre 2010

Giocando all'11 settembre..

Alcuni bambini che "giocano all'11 settembre" con un aereo in miniatura, una bimba accanto un coetaneo con il viso coperto da un cappuccio e un altro nudo ricordano le torture di Abu Ghraib. Con la mostra "In the Playroom" (Nella stanza dei giochi) esposta in una galleria di Ottawa, Jonathan Hobin ha voluto interpellare il pubblico sull'impatto che hanno i media sui più giovani. Dalla morte della principessa Diana nel 1997 allo tsunami che ha devastato l'Asia nel 2004, passando dalla minaccia nucleare del dittatore nord-coreano Kim Jong-Il, l'artista espone 12 foto aventi per protagonisti dei ragazzini e come scenario le loro camerette. Ma le sue creazioni hanno provocato un acceso dibattito in patria raccogliendo critiche dei genitori che non hanno gradito il messaggio

Cosa blocca il wifi pubblico in Italia


Dal 2005, il decreto Pisanu impedisce in Italia la diffusione delle reti wireless aperte. Ora sembra che finalmente il parlamento sia intenzionato ad abolire la norma.

10 ottobre 2010


Se vi è capitato di trovarvi all’estero con uno smartphone e cercare di collegarvi a internet in una piazza o in un parco, vi siete probabilmente resi conto del gran numero di reti wireless libere, cioè utilizzabili senza che sia necessario conoscere e inserire alcuna password. Allo stesso modo, avrete notato la quantità di bar, ristoranti e caffetterie che rende disponibile gratuitamente la connessione a internet ai propri clienti. Se la stessa cosa non succede in Italia, è a causa di un cavillo contenuto in una norma anti terrorismo approvata ormai cinque anni fa.
Nel 2005, all’indomani degli attentati terroristici a Londra, il parlamento italiano approvò il cosiddetto decreto Pisanu: una serie di norme che avrebbero dovuto permettere alle forze dell’ordine di prevenire e individuare eventuali minacce all’Italia. Una di queste norme stabilisce che qualsiasi soggetto fornisce al pubblico un accesso a internet (una biblioteca, un internet point, un bar ma anche un privato cittadino) è obbligato a registrarsi in questura come fornitore del servizio e richiedere un documento di riconoscimento a ogni utente che accede alla rete. In sintesi: in Italia chiunque lascia una rete wireless aperta dovrebbe registrarsi in questura e richiedere un documento a chiunque accede a quella rete. La norma ha di fatto ucciso la diffusione delle connessioni wireless in Italia, sia dal punto di vista dell’offerta del servizio che da quello della sua domanda. Alle imprese non restavano che due strade: la prima, quella percorsa per esempio da McDonald’s, era offrire la connessione wireless ai propri clienti previa una lunga e articolata procedura di registrazione; la seconda, quella percorsa da privati e piccole attività commerciali, era lasciare la connessione aperta e confidare nella scarsa frequenza dei controlli.
La storia però è più lunga di così. Secondo il decreto Pisanu, infatti, la norma sulle reti wireless sarebbe dovuta decadere nel 2007. Negli ultimi anni, però, il balzello è finito nel cosiddetto decreto Milleproroghe – altra anomalia italiana che meriterebbe un capitolo a sé – ed è stata quindi rinnovata per tre volte, una volta dal governo Prodi e due volte dal governo Berlusconi. Oggi, a quasi cinque anni dall’entrata in vigore della norma, si può certamente stilare un bilancio degli effetti di una misura severa al punto da non trovare paragoni nemmeno nelle restrizioni delle libertà personali introdotte dall’amministrazione Bush negli Stati Uniti subito dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre.
L’anno scorso, in corrispondenza della scadenza della norma, un centinaio di dirigenti d’azienda, giornalisti, blogger, politici, giuristi e docenti universitari aveva sottoscritto una carta – la “Carta dei Cento” – che chiedeva appunto di abolire il balzello sulle reti wireless contenuto nel decreto Pisanu. La proposta non ebbe successo e la legge restò in vigore. Quest’anno però sembra che in Parlamento ci siano condizioni diverse e più favorevoli.
Tre deputati hanno presentato infatti una proposta di legge allo scopo di abolire la norma contenuta nel decreto Pisanu. I tre sono Linda Lanzillotta di Alleanza per l’Italia, Paolo Gentiloni del Partito Democratico e Luca Barbareschi di Futuro e Libertà. I loro gruppi parlamentari sembrano intenzionati a sostenere la proposta di legge. Anche l’Italia dei Valori e l’UdC hanno dichiarato di essere favorevoli all’abolizione della norma sulle reti wireless, e sarebbero arrivati segnali di apertura pure dalla Lega Nord. Ieri, poi, c’è stata la presa di posizione dei Club della libertà a favore dell’abolizione. Insomma, salvo che il ministro degli interni non debba dare parere negativo, sembra che esistano le condizioni parlamentare per liberare finalmente l’Italia da uno dei suoi tantissimi inutili balzelli antimoderni. La discussione è cominciata due giorni fa. Queste le motivazioni dei tre deputati promotori dell’iniziativa.

“La normativa italiana rappresenta un notevole ostacolo alle nuove modalità di fruizione e accesso alla rete da parte dei cittadini e anche per l’erogazione di nuovi servizi da parte delle pubbliche amministrazioni ed enti pubblici. Servizi informativi georeferenziati trovano applicazione e utilità in molteplici campi, con forti ricadute non solo sulla vita dei cittadini ma anche sull’intero sistema economico di un territorio. A causa dell’art 7 del decreto Pisanu, ad esempio, In Italia nessuna biblioteca, azienda privata o pubblica può dare libero accesso alla propria rete wi-fi se prima non ha fotocopiato o scansionato il documento di identità dell’utilizzatore, si è attrezzata per controllare gli accessi alle singole postazioni e i software utilizzati dagli utenti; con la conseguenza di negare di fatto la possibilità di utilizzo libero della rete wi-fi. A fronte di risultati quasi inesistenti in termini di sicurezza, i costi delle norme oggetto del nostro esame sono invece altissimi. Esse hanno costituito un ostacolo alla crescita tecnologica e culturale di un paese già in ritardo su tutti gli indici internazionali della connettività a Internet: nel momento in cui la rete si apre sempre di più al prossimo grazie alle tecnologie wireless, alla diffusione di device mobili sempre più economici e performanti, in Italia abbiamo imposto lucchetti e procedure artificiose. L’assenza di una rete diffusa costituisce ostacolo talvolta insormontabile per l’accesso a servizi pubblici della Pubblica Amministrazione, a servizi di infomobilità, a servizi innovativi per la fruizione di beni culturali, ambientali e servizi per il turismo, all’erogazione di servizi specifici destinati a diversamente abili, a nuove forme di fruizione di servizi pubblici in ambienti pubblici come aree verdi, biblioteche, ospedali e ai servizi di sicurezza”

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http://www.ilpost.it/2010/10/10/cosa-blocca-il-wifi-pubblico-in-italia/

venerdì 8 ottobre 2010

A colpi di Waka waka per far dimettere Minzolini


Il tormentone web inventato dal movimento ‘Valigia Blu’ di Arianna Ciccone è stato cantato, e ballato, questa mattina da un gruppo di attivisti mascherati da Augusto Minzolini nei giardini di fronte alla sede Rai di viale Mazzini. La protesta contro il direttore del Tg1 accusato d’imparzialità è diventato un must sulla rete e ad oggi ha totalizzato già oltre 110mila visualizzazioni.



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lunedì 4 ottobre 2010

Porfidia o Perfidia

Porfidia o Perfidia

http://www.facebook.com/notes/luigi-de-magistris/porfidia-o-perfidia/4468183
72379

Nella campagna acquisti che il caimano ha messo in atto per garantirsi la
fiducia di parlamentari venduti troviamo anche l’on. Amerigo Porfidia,
eletto nell’IDV, del collegio di Caserta, passato poi al gruppo misto dopo
il suo coinvolgimento in indagini per fatti di camorra dirette dalla
direzione distrettuale antimafia di Napoli. Fa bene, quindi, il Presidente
Di Pietro a dire che Porfidia non è IDV e che, quindi, nella campagna
corruttiva attuata dal presidente del Consiglio il nostro partito è rimasto
estraneo, osservatore denunciante dello stupro della democrazia. Bene…ma
fino a un certo punto. Il Porfidia è stato il convitato di pietra del
recentissimo congresso regionale campano. Si è assistito a un suo
appassionato elogio da parte di alcuni dei massimi dirigenti campani del
partito. Si è assistito all’aggressione nei confronti di militanti del
partito che hanno osato porre il doveroso accento sulla questione morale,
sulla trasparenza e su un maggiore contrasto alla camorra e alle varie forme
di illegalità. Nella provincia di Caserta Porfidia controlla una parte
significativa del partito, ha rapporti molto stretti con numerosi dirigenti
di partito, nell’esecutivo regionale è presente suo fratello.
L’europarlamentare IDV Vincenzo Iovine si è autosospeso nei giorni scorsi
per contrasti con Porfidia. La presenza di quest’ultimo ha impedito
l’elezione al consiglio regionale in Campania di Lorenzo Diana che vive
sotto scorta perché minacciato dalla camorra. Volevano cacciare dal partito
alcuni militanti di Castelvolturno impegnati in prima linea contro la
camorra – autosospesisi in questi giorni – perché avevano posto la
“questione Porfidia”. Nel collegio Sud mentre Luigi de Magistris, Sonia
Alfano e altri, le cui candidature sono state volute da Di Pietro,
raccoglievano centinaia di migliaia di consensi anche nel cd. voto di
opinione, la parte maggioritaria del partito sosteneva Pino Arlacchi. Da
qualche giorno l’eurodeputato Arlacchi è passato con il PD, tradendo
elettori e partito. Eppure in questi mesi quanti all’interno di IDV hanno
blaterato e blaterano ancora: de Magistris va con Vendola! Alfano con
Grillo! de Magistris è comunista! Sembrava di sentire Berlusconi. Non sono
dei “nostri” sussurra qualcuno. La lealtà e l’onestà non si comprano, così
come le idee e l’indipendenza di giudizio. Certo, con alcuni, come Porfidia,
ma anche altri, non ho nulla in comune. La mia storia e la mia vita sono
altro, totalmente altro. IDV è e deve essere altro da quanto si vede anche
nel nostro partito. E non si richiami la storiella del casellario
giudiziario pulito o sporco per selezionare la classe dirigente. Anche
perché a breve quello lindo lo avranno mafiosi e corrotti, per come va alla
rovescia il nostro amato Paese, macchiato lo avranno gli immigrati
clandestini, i dissidenti, il popolo delle carriole, i manifestanti
anti-discariche in Campania, i servitori dello stato scomodi e i politici
che si mettono di traverso al regime. Diceva un eroe come Paolo Borsellino
che la politica deve anticipare la magistratura, l’etica pubblica è qualcosa
di oltre e più nobile della mera questione del casellario giudiziario. IDV è
un partito importante, pulito, con tante donne e molti giovani appassionati,
che suscita speranze ed emozioni, che ha prospettive enormi per la storia
del Paese. Ma ci sono ancora “passi del gambero”, ambiguità, compromessi
intollerabili. Non si può stare tutti insieme se le distanze non sono sulle
idee e sulle opinioni, bensì sulla questione morale e sull’etica pubblica,
sulle pratiche dell’azione politica improntate al raggiungimento del bene
comune e non a quello personale. IDV deve essere la prima linea
dell’opposizione e la punta di diamante del governo del Paese quando
vinceremo le elezioni. Non si cresce mettendo insieme storie che non possono
camminare unite, si vince se si è coerenti, chiari, netti, coraggiosi,
onesti, leali. Non possiamo correre, nemmeno lontanamente, il rischio di
vedere al nostro interno quello che accadde alla democrazia cristiana quando
qualcuno sostenevache dovessero convivere Salvo Lima e Leoluca Orlando. IDV
ha scelto, è nel suo DNA la lotta per i diritti e la difesa della
Costituzione, in noi non alberga il puzzo del compromesso morale. Siamo
coerenti! Basta errori e sottovalutazioni, in IDV ci sono donne e uomini che
ci mettono la faccia, il cuore, la passione, l’entusiasmo per cambiare
veramente questo Paese! Un’altra Italia è possibile anche perché IDV esiste,
non si avallino più trasformismi e compromessi che appartengono ad altri,
non a Noi.

Luigi de Magistris
http://www.luigidemagistris.it/index.php?t=P1468

giovedì 30 settembre 2010

Shutter Island

Megavideo 1parte
Megaviedo 2parte

Ma forse, se c’è, questo Mister X fa la seconda elementare.

Pd, Partito Desaparecido.
Pubblicato da IL FATTO Quotidiano il giorno mercoledì 29 settembre 2010 alle ore 13.50
 
Il 3 agosto Il Fatto apriva con il titolo “C’è vita nel Pd?”. Due settimane dopo, rientrati con comodo dalle ferie, i dirigenti del “principale partito di opposizione” annunciavano sfracelli per la ripresa. Il segretario Bersani parlò di “una campagna porta a porta, la più grande mobilitazione che un partito abbia mai promosso”, per “raggiungere il più alto numero di italiani casa per casa e lanciare la nostra proposta di governo”. Siamo al 28 settembre e nulla di tutto questo è avvenuto, né se ne intravede la benché minima avvisaglia. A meno che la più grande mobilitazione che un partito abbia mai promosso non sia l’ennesima batracomiomachia fra dalemiani e veltroniani, su un copione che si ripete da una quarantina d’anni fin dai tempi della Fgci. Nel qual caso sì, le avvisaglie si vedono, purtroppo. Veltroni ha inviato una lettera al Corriere, Bersani ha inviato una lettera a Repubblica, allora anche Veltroni ha inviato una lettera a Repubblica, poi ciascuno ha presentato la sua mozione e raccolto le sue firme. Così tutti hanno capito che, nel momento della crisi più drammatica mai vista nel centrodestra, il Pd ha deciso di rispondere con una bella rissa, anche se nessuno ha ancora capito bene su che cosa stia litigando (a parte gli onanismi sul “papa straniero”). Intanto il Pd è entrato nella giunta siciliana Lombardo IV, sostenendo un governatore indagato per mafia: lo stesso che tre anni fa la capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro, candidata contro di lui, definì “temibilissimo perché ha costruito un sistema di potere clientelare spaventoso che ha riportato la Sicilia al Medioevo”. A Milano, come candidato sindaco, il Pd ha scelto l’archistar Stefano Boeri, stretto collaboratore di Salvatore Ligresti e artefice di opere faraoniche alla Maddalena targate Protezione civile e a prezzi raddoppiati per il celebre G8 fantasma. Un sondaggio di Mannheimer dimostra che il 30% degli elettori del Pd vuole l’alleanza con Di Pietro e il 28% anche con la sinistra radicale, ma i vertici del partito continuano a inseguire l’Udc di Casini, o quel che ne resta dopo la fuga verso B. dell’azionista di maggioranza, Totò Cuffaro. La mozione di sfiducia al premier, più volte ventilata, risulta non pervenuta. Così come le regole per le primarie in caso di elezioni, anche perché i sondaggi danno in testa Vendola (capo di un partito che alle ultime elezioni non raggiunse nemmeno il 4%) su Bersani (capo di un partito che due anni fa prese il 27% e ora naviga intorno al 24). Ma nessuno si domanda il perché: se gli elettori non gradiscono l’attuale gruppo dirigente, è colpa degli elettori, non del gruppo dirigente.

L’idea di lanciare un candidato nuovo, possibilmente vivente e contemporaneo, è scartata a priori. Il meglio che si riesce a immaginare è Sergio Chiamparino (62 anni, in politica da 40), da dieci anni sindaco di Torino, il comune più indebitato d’Italia e la città più inquinata d’Europa dopo Plovdiv in Bulgaria (ma non si esclude di candidare direttamente il sindaco di Plovdiv). Occasioni d’oro per la “grande mobilitazione” ne fioccano al ritmo di una dozzina al giorno: dal massacro politico-mediatico di Fini allo scandaloso voto salva-Cosentino, dallo scandalo quotidiano della Rai al fallimento del miracolo della monnezza in Campania. Ma su Fini il Pd balbetta. Su Cosentino non può che balbettare, avendo votato nello stesso modo per salvare D’Alema e Latorre dalle intercettazioni Unipol-Bnl. Sulla Rai non sa che dire, anche perché la parola “conflitto d’interessi” suona fessa in bocca a chi per tre volte poteva risolverlo e per tre volte non ci pensò neppure. E su Napoli il Pd ribalbetta, non avendo rimosso per tempo i corresponsabili dello sfascio, da Bassolino alla Jervolino. Occorrerebbe un leader che, negli ultimi 15 anni di suicidio del centrosinistra, non c’era e dunque possa riprendere in mano quelle questioni cruciali senza sentirsi rinfacciare il passato. Ma forse, se c’è, questo Mister X fa la seconda elementare.

venerdì 13 agosto 2010

Quei 100 milioni da Berlusconi alla mafia

Il quotidiano di via Solferino rivela: Massimo Ciancimino ha consegnato ai giudici un 'pizzino' del 2001 del padre Vito che documenterebbe passaggi di contante da distribuire ai vertici di Cosa Nostra
 
Cento milioni di vecchie lire versati da Silvio Berlusconi alla mafia nel 2001. La relazione pericolosa per il premier sarebbe documentata in un pizzino consegnato da Massimo Ciancimino ai magistrati, secondo quanto rivelato oggi dal Corriere della Sera. Nel foglio dattiloscritto ma accompagnato da annotazioni autografe di don Vito che si riferisce al boss Bernardo Provenzano con l’appellativo di ragioniere, si fa esplicitamente il nome del presidente del Consiglio.

Scrive l’inviato Felice Cavallaro: il testo è top secret ma chi lo ha letto così sintetizza evocando conteggi in vecchie lire: ‘dei 100 milioni ricevuti da Berlusconi, 75 a Benedetto Spera e 25 a mio figlio Massimo’. E poi: ‘Caro rag. Bisogna dire ai nostri amici di non continuare a fare minchiate … e di risolvere i problemi giudiziari”. Il pizzino sarebbe stato scritto dal padre, secondo Massimo Ciancimino, nella seconda metà del 2001, dopo il voto del 13 maggio per le elezioni nazionali e del 24 giugno per la Regione siciliana con la doppia vittoria schiacciante di Silvio Berlusconi e di Totò Cuffaro. Don Vito chiede al capo della mafia di intervenire sui politici usciti vittoriosi dalle elezioni chiedendo di “non fare minchiate” ingiustificate alla luce dei “numeri” della vittoria: 61 seggi a zero per il centrodestra in Sicilia.

Massimo Ciancimino ha consegnato il pizzino insieme a una cartellina piena di lettere e documenti che sarebbe stata trovata a casa della madre, la signora Epifania. Mamma e figlio sono stati sentiti nei giorni scorsi dai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo sul contenuto del pizzino e in particolare la signora Ciancimino avrebbe inserito questa novità in un rapporto consolidato che risaliva a trenta anni prima: “mio marito si incontrava negli anni settanta con Berlusconi a Milano”, avrebbe detto la signora aggiungendo con un pizzico di disappunto: “ma alla fine Vito si sentì tradito dal Cavaliere”.

Il rapporto Ciancimino-Berlusconi non è una novità assoluta delle indagini palermitane. Le prime tracce risalgono a una serie di relazioni della Polizia degli anni ’80 in cui si descrive la figura di Marcello Dell’Utri e il suo legame con un collaboratore di Ciancimino, l’ingegner Francesco Paolo Alamia. Mentre già nel 2004, in una telefonata intercettata dalla Procura di Palermo tra Massimo Cinacimino e la sorella Luciana, il figlio di don Vito sosteneva che esistesse un assegno di 25 milioni di lire da parte di Silvio Berlusconi a beneficio del padre.

Anche su questo punto Massimo Ciancimino ha offerto nuovi chiarimenti ai pm nei giorni scorsi: si sarebbe trattato in realtà di soldi in contanti che lui stesso avrebbe ritirato da un amico del braccio destro di Provenzano, Pino Lipari.

Il fatto che Massimo Ciancimino abbia in due occasioni ricevuto decine di milioni di lire dal boss Provenzano o dai suoi amici sta modificando la posizione giuridica del “testimone assistito”. Probabilmente la Procura di Palermo sta valutando la sua iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento. Un elemento che però paradossalmente rafforza la credibilità delle sue affermazioni autoindizianti.

I rapporti tra il gruppo Berlusconi e la mafia comunque non sono una novità assoluta. A parte la condanna nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri (nel quale comunque le dichiarazioni del figlio di don Vito non sono state recepite perché considerate contraddittorie e a rate) già nelle indagini degli anni novanta sulla famiglia mafiosa di San Lorenzo erano emerse le prove documentali dei versamenti della Fininvest a titolo di “regalo” ai boss. Nel libro mastro del pizzo, sequestrato al clan, era stata trovata la dicitura “Can 5 5milioni reg”.

I collaboratori di giustizia avevano spiegato che a partire dagli anni ’70, prima attraverso Vittorio Mangano e poi per tramite dell’amico di DellUtri, Gaetano Cinà, ogni anno il Cavaliere faceva arrivare soldi alla mafia.

Non si trattava però di tangenti, ma di doni fatti per mantenere i buoni rapporti. Il boss di Porta Nuova, Salvatore Cancemi, aveva aggiunto di aver visto il contante proveniente da Arcore ancora nel 1992. La trafila del denaro allora prevedeva che i soldi di Berlusconi finissero nelle mani dell’allora capo dei capi Totò Riina per poi essere suddivisi tra le varie famiglie mafiose.

Ora, se autentico, il nuovo pizzino conferma che quell’abitudine non finì con la discesa in campo del Cavaliere. Tanto che altri regali in contanti sarebbero arrivati al successore di Riina. Un fatto che, se provato, spiega bene perché Berlusconi nel 2006 fu l’unica carica istituzionale italiana a non complimentarsi per la cattura di Provenzano.